L’endodonzia è quella branca odontoiatrica che si occupa delle malattie della polpa, ossia quell’insieme di vasi e nervi che sono contenuti nello spessore del dente (Fig.1). La polpa è un tessuto molto ricco in cellule e contiene numerosi vasi sanguigni e terminazioni nervose che conferiscono la sensibilità al dente. Tali strutture sono accolte in spazi scavati all’interno del dente e chiamati camera pulpare e canali radicolari. I vasi e le terminazioni nervose che costituiscono il tessuto pulpare entrano all’interno di questi spazi per mezzo del forame apicale, un vero e proprio orifizio situato all’apice del dente. Può capitare che per svariati motivi (ad esempio carie destruenti o traumi dentali) la polpa possa andare incontro a fenomeni infiammatori di grado variabile che richiedono un intervento da parte dello specialista. L’endodonzia, appunto, si occupa della terapia di tutte le affezioni di origine pulpare.
Fig.1 – Schema dell’endodonto
Patologie della polpa
Le patologie pulpari possono presentarsi con quadri abbastanza differenti tra loro. Si possono avere quadri di infiammazione reversibile della polpa, di infiammazione irreversibile e infine di necrosi pulpare. L’infiammazione reversibile del tessuto pulpare si manifesta con sensibilità al freddo (ad esempio bevendo acqua fredda) oppure sensibilità ai cibi dolci (ad esempio mangiando un caramella). Si tratta di un dolore (più che altro sensibilità) provocato, nel senso che insorge solo quando uno stimolo viene a contatto con il dente e mai spontaneamente. Tipicamente si verifica in denti che presentano lesioni cariose a livello della corona e che sono state trascurate oppure in seguito a carie non visibili ad occhio nudo (per esempio perché situate tra un dente e l’altro o nel caso di carie a “carota” nel senso che intaccano solo minimamente lo smalto del dente ma si approfondiscono soprattutto nella dentina distruggendola rapidamente). Quindi sono sempre i batteri a causare l’infiammazione e i sintomi. Generalmente non si presentano come forma di urgenza in quanto il paziente non ha dolore vero e proprio ma solamente un fastidio “sopportabile”. In questo quadro, la polpa presenta un grado di infiammazione moderata che mostra un certo grado di reversibilità. Infatti, intervenendo tramite la cura delle lesioni cariose, generalmente la sintomatologia scompare. Bisogna tuttavia monitorare la situazione nel tempo in quanto possono verificarsi complicanze, nel senso che la polpa potrebbe andare incontro a necrosi.
Diverso è il quadro di infiammazione irreversibile della polpa in cui il dente è sensibile soprattutto agli stimoli caldi e il dolore è tipicamente spontaneo. In questo caso l’infiammazione pulpare è in uno stadio avanzato per cui l’unica terapia possibile è la devitalizzazione del dente interessato.
Se non si interviene durante questo stadio si ha la necrosi della polpa del dente in quanto i prodotti tossici di origine batterica distruggono letteralmente i tessuti. In questo caso la sintomatologia è assente in quanto le terminazioni nervose sono andate distrutte. Tuttavia si possono avere vari quadri sintomatologici come l’ascesso che è accompagnato da un’intensa sintomatologia dolorosa che porta il paziente a recarsi presso il dentista con carattere di urgenza.
Anche nel caso di traumi dentali la polpa subisce un forte shock e con il tempo può andare incontro a necrosi.
Non è raro che un paziente si rechi dal dentista a causa di un dente che in passato non ha praticamente dato mai fastidio e che invece è andato incontro a necrosi. Questo perché, a volte, in passato, il paziente ha avvertito una qualche sensibilità ad un dente ma essendo un fastidio sopportabile, non ha dato peso al problema.
Sintomi delle patologie pulpari
Le patologie della polpa sono caratterizzati da sensibilità e, a seconda dei casi, dolore. Nelle prime fasi dell’infiammazione pulpare l’unico sintomo degno di nota è rappresentato da sensibilità a stimoli freddi e a cibi dolci. In genere si tratta di sintomi sopportabili. Quando sopraggiunge la necrosi pulpare i sintomi possono cessare istantaneamente, ma ciò non vuol dire che la situazione è sotto controllo. Infatti a distanza di tempo si possono instaurare quadri anche acuti come la periodontite apicale acuta e l’ascesso. La periodontite apicale acuta è caratterizzata da sensibilità alla percussione del dente (anche quando si mastica) ma per il resto non sono reperibili altri sintomi di rilievo. Nell’ascesso, invece, oltre alla sensibilità alla percussione, si instaura un forte dolore dovuto alla pressione del pus a livello dei tessuti periapicali, sensazione di “dente allungato” e difficoltà a chiudere la bocca. E’ tipicamente presente una tumefazione in corrispondenza del dente colpito che può essere visibile anche all’esterno del cavo orale. A volte il quadro dell’ascesso non si manifesta ma in questo caso può instaurarsi un processo infiammatorio cronico, del tutto asintomatico, che prende il nome di granuloma apicale.Si tratta di un tessuto infiamatorio cronico formato dalle cellule del nostro organismo che tentano di bloccare l’avanzata batterica, e quindi circoscrivono l’infiammazione dando vita a questa formazione tondeggiante. Pur non essendo accompagnato da alcuna sintomatologia, il granuloma con il tempo tende a crescere e a trasformarsi in una cisti che deve essere trattata il prima possibile.
Diagnosi
La diagnosi delle patologie pulpari è spesso semplice ma possono presentarsi quadri di difficile risoluzione terapeutica. Si basa essenzialmente sull’esecuzione di alcuni test di sensibilità e sull’esame radiografico.
Test di sensibilità: si tratta di test atti a stimolare le terminazioni nervose pulpari per stabilire le condizioni di salute della polpa. Principalmente si tratta di test termici e test elettrico. I test termici si dividono in test del caldo e test del freddo. Il test del freddo è quello più utilizzato per confermare la vitalità della polpa. La polpa è normalmente sensibile al freddo ma quello che cambia nelle situazioni patologiche, è la risposta allo stimolo. In denti sani, una volta applicato lo stimolo freddo al dente, si ha un fastidio immediato che cessa subito dopo aver rimosso lo stimolo freddo. Se invece, una volta rimosso lo stimolo, il fastidio permane, la situazione è patologica e bisogna intervenire. Lo stimolo viene portato sul dente con un batuffolo di cotone imbevuto di una sostanza (cloruro di etile) che trovandosi ad una temperatura ben al di sotto dello zero, stimola immediatamente le terminazioni nervose pulpari. In genere si inizia dal dente che si sospetta meno in modo da valutare il tipo di reazione che il paziente ha normalmente. Dopo si passa ad esaminare il dente sospettato. Esiste anche il test del caldo e il test elettrico ma vengono usati raramente.
Esame radiografico: consiste nell’esecuzione di una piccola lastrina endorale effettuata direttamente a studio che serve a valutare le condizioni, non solo del dente, ma anche dei tessuti periapicali. L’esame radiografico è normale nel caso di polpa vitale anche se compromessa mentre è alterato nel caso di necrosi pulpare. Quando il dente va in necrosi, i batteri e le loro tossine passano nell’area periapicale e provocano una distruzione dei tessuti. Radiograficamente può non esserci nulla come nel caso di un ascesso o può essere presente una zona radiotrasparente (più scura rispetto al resto) nel caso di granuloma o cisti.
Terapia
Le patologie pulpari richiedono spesso una terapia d’urgenza in quanto, spesso, i pazienti giungono presso la nostra osservazione con forti dolori sovente non domabili con i classici antidolorifici. La terapia si basa sulla devitalizzazione che consiste nella rimozione del tessuto pulpare infetto e nella successiva sigillatura degli spazi canalari con un materiale apposito, la guttaperca. Dal momento che, spesso, i pazienti giungono a studio in urgenza e quindi senza un previo appuntamento, si ricorre, in prima istanza, ad una terapia atta a rimuovere il dolore. In una seconda seduta si provvederà, previo appuntamento, alla continuazione della terapia.
Fasi operative
La devitalizzazione consiste in varie fasi.
- Anestesia: viene somministrata solo in caso di dente vitale in quanto, qualora sia avvenuta una necrosi pulpare, il dolore non proviene dal dente (poiché i nervi sono “morti”) ma dalla distruzione dei tessuti periapicali e quindi l’anestesia non servirebbe ad eliminare il dolore.
- Montaggio della diga di gomma: si tratta di un presidio ormai utilizzato da anni in odontoiatria. Consiste in un foglio di gomma forato dall’operatore nella zona che ci interessa e viene posizionato nel cavo orale del paziente per isolare il dente che dobbiamo trattare dal resto della bocca. In questo modo l’operatore lavora meglio in quanto non c’è la presenza della lingua o della saliva che ostacolano l’operato del dentista e in più il paziente viene protetto dalle sostanze che vengono usate durante la procedura.
- Preparazione della cavità di accesso: consiste nel praticare un foro sulla superficie occlusale del dente con delle frese al fine di raggiungere la camera pulpare ed identificare gli imbocchi canalari. Dopo la rimozione del tessuto camerale con degli strumenti sottili si individuano i vari canali (possiamo avere da 1 a 5 canali in base al dente).
- Detersione e sagomatura del sistema canalare (Fig.2): consiste nel rimuovere e sterilizzare tutto il contenuto pulpare e allo stesso tempo sagomare i canali. La detersione è il fattore principale per la riuscita della terapia, in quanto, grazie a questa, si disinfettano i canali dai batteri. Si usa l’ipoclorito di sodio (è simile alla varechina) che viene portato all’interno del dente con delle siringhe ad ago molto sottile e viene poi aspirato dall’assistente. Questo viene ripetuto più volte durante la pulizia dei canali. Allo stesso tempo, grazie agli strumenti utilizzati, si sagomano i canali in modo da avere una forma finale idonea per la successiva sigillatura. Si usano degli “aghetti” molto sottili che vengono mossi all’interno del canale per rimuovere il tessuto infetto e sagomare i canali. Oggi si usano anche strumenti ruotanti che hanno velocizzato, e non poco, la durata della terapia.
Fig.2 – Sagomatura canalare
- Sigillatura dei canali radicolari: dopo la detersione è essenziale sigillare i canali per evitare che i poche batteri rimasti si riproducano e possano provocare nuovamente dei problemi. Infatti, è stato visto da numerosi studi, che è impossibile ottenere la completa sterilizzazione del sistema canalare ma solo una forte riduzione della carica batterica. Per cui, tramite la sigillatura con la guttaperca, è come se i batteri venissero “murati” vivi all’interno dei canali e quindi risultano destinati alla morte (Fig.3). Si usa la guttaperca, a tale scopo, un materiale biocompatibile di colore arancione sotto forma di coni di diametro variabile, che viene inserito nel canale e riscaldato in modo da renderlo fluido e riempire, così, tutti gli anfratti del sistema canalare. Questa fase può essere effettuata nella stessa seduta della detersione o in una seduta successiva a distanza di circa una settimana.
Fig.3 – Coni di guttaperca
Oggi spesso si tende a devitalizzare un dente in singola seduta anziché in due sedute, come avveniva in passato. Infatti è stato visto che,da un punto di vista del successo, è meglio eseguire la terapia in una singola fase. E’ anche vero che, eseguendo la cura canalare in due fasi,si potranno meglio controllare eventuali fastidi postoperatori per il paziente. Generalmente la durata varia in base al dente trattato risultando più lunga nel caso di denti con più canali (molari superiori ed inferiori) mentre è più rapida nel caso di incisivi e canini (che hanno quasi sempre un solo canale)(Fig.4).
Fig.4 – Terapia canalare eseguita
Ricostruzione del dente trattato endodonticamente
Una volta effettuata la devitalizzazione del dente bisogna ricostruirlo in maniera da garantirne una prognosi a lungo termine eccellente. Dalla letteratura mondiale, è stato ampiamente dimostrato, che il miglior modo di ricostruire un dente trattato endodonticamente, consiste nella ricopertura del dente con una corona protesica per prevenirne un’eventuale frattura. Infatti, i denti devitalizzati, perdono gran parte della loro resistenza poiché, essendo privati della polpa, perdono la loro naturale idratazione e quindi la frattura risulta molto più probabile. Siccome, poi, spesso i denti devitalizzati, risultano già ampiamente distrutti dalla carie, ecco che la ricopertura coronale risulta obbligatoria. Esistono, tuttavia, casi limitati, in cui è possibile ricostruire un dente devitalizzato con una ricostruzione diretta in composito o meglio con un intarsio in composito o in porcellana (la differenza con l’otturazione sta nel fatto che viene fatto in laboratorio a partire da un’impronta e quindi risulta molto più preciso e resistente) ma solo nel caso in cui la distruzione della corona del dente è data solamente dal foro di accesso endodontico e praticamente tutte le pareti del dente sono conservate. Neglia altri casi meglio ricorrere ad una corona protesica. Spesso, inoltre, per ricostruire il nucleo del dente, che è stato ampiamente demolito sia dalla carie sia dalle nostre procedure di devitalizzazione, si ricorre ai perni in fibra. Questi piccoli perni di colore bianco, realizzati in fibra di vetro, vengono usati per rinforzare ulteriormente la struttura dentale residua. Vengono posizionati uno o più perni in base al numero di canali e la quantità di sostanza dentale residua. Quindi, più canali ci sono e più il dente è distrutto, più perni vengono posizionati. Generalmente un perno risulta sufficiente nella maggioranza dei casi. I perni sono assolutamente indicati nei premolari (soprattutto superiori) in quanto, dalla letteratura, è stato visto che sono i denti maggiomente soggetti a frattura dopo la devitalizzazione.
Ritrattamenti
A volte succede che una terapia canalare non vada a buon fine per vari motivi. Può capitare che un dente presenti tutta una serie di canali accessori di diametro piccolo che risultano impossibili da pulire o ad esempio, può capitare che a causa di ostacoli all’interno dei canali, è impossibile detergere adeguatamente i canali (Fig.5). O ancora, nel caso di una terapia andata male perché è stato tralasciato un canale come sequela di una precedente terpia canalare intrapresa da un altro medico. In questi casi entra in gioco il ritrattamento, il cui obiettivo è quello di ritrattare nuovamente i canali e portare a termine con successo la terapia. C’è da dire fin da subito che, il ritrattamento è una terapia molto più lunga ed impegnativa per l’operatore e le percentuali di successo si abbassano rispetto ad una terapia canalare effettuata su un dente “vergine”. Infatti, spesso, può risultare difficile se non impossibile, sondare e pulire completamente i canali. Vengono usati degli strumenti simili a quelli adoperati per le classiche terapie canalari ma appositamente studiati per l’occasione e in più si utilizza un solvente per rimuovere la vecchia guttaperca.
Fig.5 – Presenza di lesione in un dente già trattato
Endodonzia chirurgica
Se, nonostante il ritrattamento, la terapia è fallimentare, si può ricorrere, in ultima istanza, all’endodonzia chirurgiga detta anche endodonzia retrograda. In questo caso, data l’impossibilità di ottenere un successo terapeutico con le tradizionali metodiche, si ricorre alla rimozione chirurgica della porzione apicale della radice. Infatti, spesso, il problema risiede negli ultimi millimetri del canale, dove tipicamente si concentrano le anomalie e i canali accessori. In pratica si tratta di un piccolo intervento di chirurgia che consiste nelle seguenti fasi:
- Anestesia
- Preparazione del sito chirurgico: si pratica un lembo in corrispondenza dell’apice del dente; con una fresa si pratica un foro nell’osso e si accede all’apice del dente; si procede al taglio degli ultimi 3-4 mm di apice tramite delle frese.
- Sigillatura dello spazio canalare: dopo aver ottenuto l’emostasi, si prepara il sito tramite delle punte ultrasoniche apposite che servono a rimuovere la guttaperca dal canale per circa 4 mm. Dopo si sigilla lo spazio creato con un materiale, l’MTA, che sigilla e che indurisce in presenza di umidità.
- Esecuzione di radiografia endorale: per verificare l’avvenuta sigillatura
- Controlli a distanza di due settimane, 1 mese, 3 mesi.
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